Original Text in Italian
Già creduto opera di uno dei migliori pittori francesi dell’età dei Lumi, Jena-Baptiste-Simeon Chardin1, il prezioso dipinto è opera certa del grande artista bolognese Gaetano Gandolfi, uno tra i protagonisti della cultura pittorica internazionale della seconda metà del XVIII secolo e tra i maggiori interpreti - per sensibilità, per cultura - della raffigurazione del sembiante e della psicologia umana.
L’antica assegnazione al grande pittore francese è comunque significativa dell’alta qualità dell’opera, tale da non sopportare una attribuzione se non a un maestro riconosciuto, e di quale importanza per la storia dell’arte settecentesca. Alla metà del Novecento, la data che è segnata accanto al nome di Chardin nell’etichetta al verso dell’opera, l’arte magnifica di Gaetano Gandolfi era ancora offuscata dall’interpretazione offerta da una critica occhiuta che ricalcava gli errori degli scritti del secolo precedente, e affondava la sua splendente e colta pittura in un limbo di provincialismo, di cattiva imitazione dei modelli del Tiepolo, nonostante l’apertura ad una interpretazione corretta offerta dalle parole di Roberto Longhi2 nel 1935. Da ciò l’erronea attribuzione che qui si corregge.
Si è dovuto attendere lo scritto di Carlo Volpe3 nell’occasione della mostra del 1979 e soprattutto i lavori di chi scrive4 per restituire all’artista il ruolo che gli compete sul vasto palcoscenico dell’arte europea, che fu tutt’altro che di comparsa, bensì di protagonista certo.
Già lo affermava, quasi obtorto collo - siamo in epoca neoclassica, un’età di retorica conclamata e senza più poeti - Luigi Lanzi nel 1809 scrisse che Gaetano “a’ suoi giorni fu un de’ più accreditati artefici ch’avesse Italia”5, testimoniando una fama e una stima internazionali che la sua pittura, frutto di un talento naturale vivacissimo e coltivato in anni di studio e di aggiornamento mai dismesso per la passione dell’arte e per modestia, da intellettuale purissimo, aveva meritato dalle prime sue prove degli anni sessanta sino allo scadere della vita, nel primissimo Ottocento.
Gaetano si era formato a Bologna, nelle accoglienti aule dell’Accademia Clementina di Pittura, Scultura e Architettura del prestigioso Istituto delle Scienze, istituzione tra le migliori in Europa,negli anni che seguirono la rifondazione dei medesimi voluta dal papa bolognese, Benedetto XIV6; attraverso un insegnamento fondato sullo studio, l’ammirazione dei grandi precedenti della scuola locale, Niccolò dell’Abate, i Carracci segnatamente e la loro scuola, modello a queste date - la metà del Settecento - per Europa tutta, l’artista aveva accostato il fare elegante e prezioso della Maniera di secondo Cinquecento e soprattutto la visione del vero, del naturale dei grandissimi maestri del secolo precedente.
In ragione dell’eccellenza della sua attitudine disegnativa era stato inviato a Venezia da un provvido mecenate per impadronirsi dei segreti della pittura di luce e colore di quella scuola, ciò che gli aveva concesso di divenire in breve tempo un maestro egli stesso, come riconobbero i contemporanei: un inglese di passaggio a Bologna gli commise una serie di dipinti bellissimi, parte dei quali oggi ornano il castello di Dublino7; uno scienziato illustre volle creare una iconoteca a tema, una raccolta di ritratti di scrittori in re naturalia dall’antichità a Linneo8, e Gaetano declinò una serie di capolavori per l’efficacia della resa del sembiante dei ritrattati e la felicità di invenzione delle cornici con oggetti di natura o mostri e figure mitologiche così di tale efficacia compositiva ed illusiva da costringere lo stesso Lanzi, tutt’altro che favorevole allo stile dell’arte del nostro, s’è detto, ad una lode.
Al rientro da Venezia Gaetano si era cimentato con le necessità del ritrarre dal vero dipingendo sé stesso e la moglie Giovanna Spisani in due mirabili telette oggi presso le Collezioni Comunali d’Arte di Bologna, datate al 17639, seguite a breve distanza dal ritratto del figlio Mauro, dando eccellente prova di sé; l’occasione di dipingere per il botanico Ferdinando Bassi dell’Istituto delle Scienze per la collezione testé citata le effigi di personalità della scienza mutuandone i lineamenti da ritratti di scuola francese, inglese, tedesca per eseguire mirabili immagini di personaggi i più diversi accrebbero la sua conoscenza di quanto del resto d’Europa, concedendogli di misurarsi con la sua attitudine, rara e preziosa, di dare spessore di verità e di vita ai volti i più diversi.
Per altro, già poco tempo dopo il rientro dal soggiorno veneziano che si data al 1760, il Gandolfi nel 1768 circa si era provato con la difficoltà di restituire in bella pittura la realtà della vicenda umana, dipingendo, ad esempio, il ritratto di un garzone di bottega il cui sembiante è ammantato da una sottile malinconia10; sappiamo dalle memorie del figlio Mauro, che sceglierà di seguirne le orme nel campo dell’incisione e della pittura, che il padre era solito sedere accanto al focolare la sera e ritrarre lui stesso e i suoi fratelli e sorelle in disegni a lapis piombino, sanguigna e talvolta acquerello di quasi struggente tenerezza, di un fascino strepitoso.
L’affettuosa adesione al vero che domina la sua pittura, sia essa declinata in pale d’altare di severa magnificenza o in favole mitologiche di splendente vivacità, si esplicita in sommo grado in quegli straordinari studi dal vero che copiosi dipinse per un pubblico di estimatori e anche per il suo personale diletto.
Gaetano infatti, da artista vero, appassionato, figlio del suo tempo, toccato nel profondo dalla filosofia dei Lumi che metteva al centro di tutto l’uomo e la sua conoscenza - “l’Illuminismo come nuovo umanesimo e laboratorio della modernità”11 -, dedicò tanta parte della sua ricerca alla definizione in immagine del naturale, nei tanti studi dal vero disegnati nelle sedute della scuola del nudo in Accademia, ma soprattutto dipingendo arie di testa o studi di carattere come all’epoca erano chiamati quei piccoli dipinti che ritraevano sconosciuti, spesso familiari o amici ed anche persone scelte per la particolarità del sembiante e dell’espressione, per lasciare ai posteri l’impronta della sua attitudine alla comprensione della verità del vivere.
Sono molti gli studi dal naturale che dipinse quasi a gara con il fratello Ubaldo, anch’egli grandissimo pittore ed eccellente nella resa della psicologia, del sentimento dei suoi simili, opere tutte di qualità notevolissima che attestano della profonda sensibilità dei Gandolfi e della capacità di entrambi di avvolgere di poesia le espressioni dei ritrattati, imponendosi di conseguenza nel vasto palcoscenico dell’arte europea.
Se infatti molti pittori dipinsero tali arie di testa, assai di moda presso la classe dirigente - penso alla raccolta, imponente, di tali telette dipinte da Pietro Antonio Rotari per la Russia, per l’imperatrice Elisabetta e poi per Caterina II, fanciulle ammiccanti di tenera bellezza ma caratterizzate da lezio, e quanto prevedibili; oppure alle molte teste di carattere che si devono al grande Greuze, di splendida pittura ma, appunto, caratterizzate da sfoggio di bravura e versate ad una sensiblerie delicata e manierata, lontana dalla concentrata attenzione al vero che impronta l’opera di Gaetano -, il Gandolfi evitò ogni espediente volto a irretire chi avrebbe potuto acquistare le sue opere, preferendo rivolgersi ad un pubblico di intendenti e raffinati collezionisti e soprattutto scegliendo di lasciare di sé l’immagine di un vero, sincero poeta, attraverso l’interpretazione della realtà del vivere.
Non un caso, dunque, che questa intensa immagine di una bambina sia stata creduta di Chardin, e restituirla al suo vero autore è quanto di più certo in ragione dele peculiarità della pittura, così intensamente materica, accarezzata nella resa delle forme, il volto morbido della bimbetta dall’espressione teneramente assorta e quella sorta di fichu che le trattiene, ma non del tutto, i capelli, concluso da un nastro; la definizione perfetta delle gotine appena arrossate, le labbra appena adombrate dalla curva del nasino, il sembiante tutto della piccina porta a supporre che fosse molto amata dall’autore.
Ed è di sicuro effetto il contrasto tra il bianco della camiciola e il colore terroso della veste, che acquisteranno lucentezza ed equilibrio appena un accorto restauro avrà rimosso la vernice ossidata che un poco ottunde l’immagine: non tanto, tuttavia, da non concedere di comprendere la qualità superba di questa pittura.
1 Nel marzo del 1955 era presumibilmente presso Appleby Bros, 27 William IV Street , Trafalgar Square, secondo quanto testimonia il cartellino dattiloscritto che compare sul telaio antico, che recita <CHARDIN: From Appleby. March 1955. B. J. J.> sul quale è anche, vergata a mano in inchiostro, la scritta <?Latour>.
2 R. Longhi, Gaetano Gandolfi, in Mostra del Settecento bolognese, catalogo a cura di R. Longhi e G. Zucchini, Bologna 1935
3 C. Volpe, I Gandolfi, in L’arte del Settecento emiliano. La pittura. L’Accademia Clementina, catalogo della mostra (Bologna, Edizioni Alfa), Bologna 1979
4 Per la letteratura di chi scrive sul pittore cito solo gli interventi essenziali: D. Biagi Maino, Gaetano Gandolfi, Allemandi, Torino 1995; Eadem, Gaetano e Ubaldo Gandolfi. Opere scelte, catalogo della mostra (Cento), Allemandi, Torino 2002; Eadem, Talento di famiglia. La pittura di Ubaldo, Gaetano e Mauro Gandolfi, in Da Bononia a Bologna. Percorsi nell’arte bolognese: 189 a.C. – 2011, Allemandi, Torino, 2012
5 L. Lanzi, Storia Pittorica dell’Italia dal Risorgimento delle Belle Arti fin presso la fine del XVIII secolo, V, Remondini, Bassano 12809 (ed. cons. a cura di M. Capucci, vol. III, Sansoni Editore, Firenze 1974, p. 140).
6 D. Biagi Maino, Benedetto XIV e la Repubblica delle Arti del Disegno. L’accademia Clementina e l’Europa, in Benedetto XIV e Bologna. Arti e scienze nell’età dei lumi, catalogo della mostra (Bologna 2025), Bologna 2025.
7 Eadem, Gaetano e Ubaldo Gandolfi… 2002, tavole 8, 9, 10, pp. 84-85, schede di J. Moore.
8 Che fu chiamata, dal suo creatore, Pinacotheca Bassiana. Vedi D. Biagi Maino, Gaetano Gandolfi. I volti della scienza nella Pinacotheca Bassiana di Bologna, Franco Maria Ricci, Parma, 2016.
9 Cfr. il catalogo della mostra del 2002, tavole 1, 2 schede p. 81.
10 D. Biagi Maino, Gaetano Gandolfi cit. 1995, tav. LX, scheda p. 354.
11 V. Ferrone, Il mondo dell’Illuminismo. Storia di una rivoluzione culturale, Einaudi, Torino, p. 3.